Spesso quando si parla di diversità ci passano per la testa tematiche sociali di rilevanza enorme, così come enorme è la loro portata. Temi che richiedono percorsi culturali molto lunghi e impegnativi, fuori dal nostro esclusivo controllo. Dal Gender Gap, al Sexual Harassment, dall’integrazione razziale agli Hate Crimes, dall’Omotransfobia fino a quella che è stata definita Cancel Culture. Queste cause riguardano i singoli individui, con le loro sensibilità e responsabilità, così come le comunità sociali di cui fanno parte; non per ultime, le aziende per cui lavorano. Negli ultimi anni è stato coniata l’etichetta Brand Activism: quel tipo di attivismo per cui le aziende svolgono un ruolo di primo piano nei processi di cambiamento sociale. Da Patagonia, da sempre attiva sul Climate Change, a Nike, Netflix e NBA che molto si sono spese per il movimento Black Lives Matter, Ikea, con numerose campagne a favore di un’idea non tradizionale di famiglia, Walt Disney, impegnata nel dare voce a storie che rappresentino le minoranze, Gucci, su fluidità sessuale e body shaming e molte altre che hanno preso posizione pubblicamente su temi sociali, scottanti e “divisivi”, contravvenendo al mantra enunciato qualche decennio fa da Michael Jordan. Di fronte alla richiesta di un endorsement per un candidato afroamericano democratico in corsa per le elezioni in North Carolina, il più grande atleta del Novecento rispose sardonico: anche i repubblicani comprano le scarpe.
Che cosa è successo da allora, e perché oggi parlare di diversità, inclusione ed equità è sempre più importante?
Su questo tema ho provato a immaginare una sorta di filastrocca:
- Ragionare sulla diversità è un ragionare sulla comunità;
- Ragionare sulla comunità è un ragionare sulla biodiversità;
- Ragionare sulla biodiversità è un ragionare su unicità e interconnessione;
- Ragionare su unicità e interconnessione è un ragionare sulla sostenibilità;
- E dunque sostenibilità è sinonimo di diversità.
La forte attenzione a queste tematiche non è un argomento da benpensanti perbenisti amanti del politicamente corretto. È un tema che ha a che fare con la sopravvivenza delle nostre comunità. Dalle famiglie, alle aziende, alle squadre sportive, alle nazioni.
Ce lo insegna la natura (e il WWF da qualche decennio): abbiamo bisogno del più alto numero possibile di specie differenti affinché il pianeta funzioni, perché ogni specie è in grado di prosperare solo se a farlo è anche tutto ciò che la circonda.
Ma di cosa parliamo quando parliamo di diversità?
La diversità è di genere, razziale, fisica, generazionale, di orientamento sessuale, ma anche culturale, valoriale, caratteriale. Una grande confusione e un tema potenzialmente sterminato.
Ecco dunque sei riflessioni, che non hanno nessuna presunzione di esaustività per provare a tracciare una rotta che dia corpo a questi temi.
1 | Il pericolo di un’unica storia
La prima prende a prestito alcune frasi pronunciate in un Ted Talk dalla scrittrice e femminista nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie: “Raccontare un’unica storia crea stereotipi. E il problema degli stereotipi non è tanto che sono falsi, ma che sono incompleti. Trasformano una storia in un’unica storia. (….) Le storie, al plurale, sono importanti. Le storie sono state usate per espropriare, e per diffamare. Ma le storie possono anche essere usate per ridare potere, e per umanizzare. Le storie possono spezzare la dignità di un popolo. Ma le storie possono anche riparare quella dignità spezzata. (…) Quando ci rendiamo conto che non c’è mai una storia unica riguardo a nessun posto, riconquistiamo una sorta di paradiso.”
2 | Una diversa intelligenza
In un video molto popolare su YouTube, la studiosa americana Brenée Brown ci racconta che cos’è l’empatia. “L’empatia è sentire con le persone. (…) L’empatia è una scelta di vulnerabilità. Perché per connettermi con te, devo connettermi con qualcosa in me stesso che conosce quella sensazione. Raramente, se non mai, una risposta empatica inizia con “almeno”, per cercare di alleggerire la situazione. Ma questo non funziona. Perché la verità è che raramente una risposta può migliorare qualcosa. Ciò che rende qualcosa migliore è la connessione.”
Senza il tentativo di esercitare empatia, ogni ragionamento sulla diversità e l’inclusione è semplice paternalismo, se non pietismo.
3 | La prossimità della diversità
Perdonate l’ingenuità di quanto sto per scrivere. Qualche mese fa mi è capitato di tenere dei laboratori per bambini per condividere con loro riflessioni sulla diversità. Dopo un primo momento di disorientamento ho provato a rendere tutto più semplice.
“Pensate alle persone a cui volete bene: mamma, papà, nonni, fratelli, sorelle, cugini, zii, amici, maestre. Sono tutti diversi! Per fortuna! Se no immaginate che noia! Eppure, vogliamo bene a tutti loro. Ho un compito per voi: scrivete su un foglio quali sono le caratteristiche che li rendono così unici e diversi! E poi, la prima volta che potete, diteglielo.”
Ragionare sull’unicità delle persone è la base per realizzare un ragionamento costruttivo sulla diversità e accogliere davvero quanto, chi è diverso da me, ha da offrire. Inoltre, più ci avviciniamo alla diversità, più aumenta la nostra conoscenza, più sfumate diventano le differenze, più umane diventano le storie. E alla fine non possiamo che arrivare a dire: ma diverso da cosa?
“più ci avviciniamo alla diversità, più aumenta la nostra conoscenza, più sfumate diventano le differenze, più umane diventano le storie”
4 | La fragilità della purezza
In ecologia, la resilienza è la quantità di diversità che un sistema è in grado di accogliere senza collassare. Dunque, un sistema si dimostra più forte più è in grado di accogliere elementi di diversità. In natura c’è una relazione fortissima fra la biodiversità e la capacità di gestire le avversità. L’antifragilità si nutre di diversità. I sistemi chiusi tendono a consumare le proprie risorse senza essere in grado di rigenerarle. I sistemi aperti si contaminano costantemente inserendo elementi di discontinuità e crisi che, se affrontati con dialogo e senza cedere a quelle che Nassim Taleb chiama “le dittature delle minoranze”, non possono che rafforzare.
5 | Condividere un vocabolario
Dare un nome è un passo necessario per creare uno spazio d’ascolto, in cui le diversità possano convivere. Se le cose non hanno un nome, semplicemente non esistono. Pertanto è cruciale, sebbene spesso trattata con superficialità, la riflessione sul linguaggio con cui approcciamo la diversità. Dall’uso di schwa e asterischi al posto del plurale maschile indifferenziato, all’introduzione in Svezia di un genere pronominale neutro, alla diatriba fra direttore e direttrice, il linguaggio che usiamo definisce il modo in cui pensiamo. E allora è importante dare un nome alle cose, magari anche chiedendosi con curiosità, cosa c’è dietro alle singole lettere che compongono l’acronimo LGBTQQIIA, o definire un hate crime per quello che è.
6 | Includere nelle piccole cose
Da un anno stiamo vivendo un’esperienza di discontinuità e diversità che sottolinea l’importanza dell’ascolto e del rispetto reciproco. La pandemia ci ha messo di fronte alla necessità di riconnetterci come esseri umani: dalla cura verso chi ci è più vicino, alla responsabilità nei confronti delle comunità nelle quali agiamo. Pensando solo al mondo del lavoro, è venuto meno un grande equilibratore: l’ufficio. Senza questo totem le nostre diversità economiche, relazionali, familiari (quanto è diverso lavorare per un anno da casa se sei single o se hai due bambini di 5 e 8 anni) sono emerse prepotentemente. E questa non può che essere una buona notizia. Ciò che si vede può essere gestito. Ma come?
Bisogna contaminare la diversità con fiducia, rispetto e umiltà. L’umiltà di capire che da qualcuno che è diverso da me ho sempre da imparare. E che, se sono in grado di contaminare la diversità, otterrò risultati impossibili per gruppi omogenei. La volontà di mettere in discussione alcune delle mie certezze, avendo fiducia nel fatto che chi mi circonda farà lo stesso. Trovare valore nella diversità richiede uno sforzo importante di reciprocità. Io accolgo un po’ della tua diversità nella misura in cui anche tu ne accogli un po’ della mia. Io rivedo alcune delle mie certezze nella misura in cui vedo lo stesso sforzo da parte tua. Io comprendo i miei limiti e capisco che tu potresti colmare le mie lacune. Quando una dinamica si basa sulla reciprocità, una domanda prende il proscenio. Chi comincia? Ecco il vero suggerimento per valorizzare la diversità. Comincia tu e accogli tutto ciò che di diverso gli altri possono offrire. Vedrai che ti seguiranno e, se anche non dovesse succedere, di sicuro tu sarai una persona e un professionista più interessante.
Siamo al termine di questa cavalcata, un po’ rapsodica, sul tema. Non ci resta da dire che Diversity&Inclusion è materia che ha forti connessioni con l’empatia, la responsabilità, la narrazione e il conflitto e che:
- la diversità traccia confini,
- l’inclusione li trasforma in frontiere,
- l’equità distribuisce i passaporti.