Twist, Kistefos Museum and Sculpture Park, Jevnaker
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Fotografia e progettazione: la ricerca del “genius loci”
Il connubio necessario tra soggettività estetica e razionalità ingegneristicaNell’era dello scatto fotografico compulsivo e della ricerca frenetica di pose e sfondi attraenti, risulta utile conoscere alcuni paradigmi dell’arte fotografica, sia se siamo interessati a occupare lo spazio dello scatto in modo efficace che se ne siamo esterni fruitori e recensori. Bisogna conoscere le proporzioni, le angolazioni, bisogna sapersi inserire nel paesaggio, diventarne una parte in modo da arricchire quell’inquadratura e darle maggior risalto. Un buono scatto può richiedere una lunga preparazione: uno studio dettagliato del contesto, del messaggio da veicolare e delle aspettative del pubblico che lo approverà o lo criticherà.
Allo stesso modo un’opera di ingegneria infrastrutturale può diventare il soggetto di uno scatto, l’elemento riconoscibile che dà allo sfondo una collocazione geografica, storica, addirittura iconica. Di più, l’opera integra lo sfondo e ne diventa componente inscindibile, tale da divenire nella memoria dell’osservatore l’elemento indispensabile per il riconoscimento del luogo.
“Un ponte esiste quando le due sponde si amano.”
(Antoni Regulski)
Per quanto la soggettività entri nel giudizio di un quadro quanto in quello di un ponte, la sfida dell’ingegneria e dell’architettura non è tanto quella di incontrare il gusto immediato della moltitudine, quanto quella di soddisfare la specificità del solo luogo in cui interviene. Ecco che, sebbene importante, lo spettatore cede il suo ruolo prioritario allo spazio. È lo spazio che accetta l’opera o la rifiuta, rendendo lo scatto fotografico che la ritrae rispettivamente uno scatto ben riuscito o uno non riuscito/neutro.
Conoscere lo spazio diventa dunque di vitale importanza. Per questo un ingegnere non esegue solo calcoli, come il fotografo non preme solo il pulsante di scatto. Entrambi si trovano prima a fare domande. E accidenti quanto sono importanti! Avete mai provato a interrogare un luogo? Non è facile quanto applicare una formula. Un luogo ha mille sfaccettature, che non si trovano nei libri. Un luogo ha mille informazioni da dare, nessuna delle quali può essere ignorata. Un luogo ha dei protagonisti, le cui voci vanno ascoltate.
L’ingegnere e il fotografo devono riconoscere tutti questi puntini e unirli nel disegno migliore: quello unico e irripetibile, imperfetto per qualsiasi altro luogo, anche se a pochi chilometri di distanza.
A circa 65 chilometri da Oslo un ponte chiamato Twist unisce le sponde del fiume Ranselva e permette di compiere un percorso circolare all’interno del Museo industriale e Parco scultoreo di Kistefos. Un percorso fra installazioni artistiche dislocate sul sito di un mulino in disuso, fondato nel 1889 per produrre pasta di legno per l’industria della carta e dismesso, ma non demolito, nel 1955. Twist, torsione, come quella naturale di un tronco. Twist, colpo di scena, come quello creato dall’improvvisa deviazione di un corso d’acqua.
“Chi possiede l’immaginazione,
con quale facilità crea dal nulla un mondo.”
(Gustavo Adolfo Bécquer)
Una competenza che spesso non viene evidenziata, ma costituisce una ricchezza straordinaria per l’ingegneria è l’immaginazione. Proprio come il fotografo che immagina il proprio scatto, lo plasma nella sua testa e ne coglie le potenzialità come le criticità, l’ingegnere che voglia concepire un’opera ben inserita nello spazio circostante è chiamato allo stesso esercizio critico.
Progettare qualcosa che non c’è e renderlo compatibile con quello che già esiste è un buon esercizio di immaginazione. Progettare qualcosa che non c’è e renderlo indispensabile per quello che già esiste è un eccezionale esercizio di immaginazione.
Immaginate un’auto. Percorre l’A1 tra Parma e Modena, nell’ostinata piattezza della Pianura Padana. Si sa, l’autostrada dopo un po’ annoia, sembra di rimanere fermi, di non muoversi davvero. Si avrebbe bisogno delle colline o delle montagne all’orizzonte per dare un senso di spostamento, allora sì, allora sarebbe più entusiasmante. Magari delle onde bianche, per dare l’idea del movimento, della velocità. Ecco dunque che all’altezza di Reggio Emilia l’auto è davvero accanto alle onde, le avverte, si sveglia dal torpore, sa dov’è e in che direzione sta andando. E sa anche che sotto quelle onde altre persone si svegliano dal loro torpore, salgono e scendono da un treno verso direzioni ignote.
“Certe strade sanno dirlo meglio.
Come certe persone.”
(Fabrizio Caramagna)
L’efficacia di uno scatto fotografico è strettamente correlata al livello di coinvolgimento che provoca nell’utente: sentirsi parte del messaggio è infatti il miglior modo per coglierlo. Vale lo stesso per l’ingegneria? Sì, con la sola precisazione che coinvolgimento in ingegneria può voler dire due cose: riconoscere l’opera nella sua peculiarità e condividerne forma e intenzione, ma anche sentirsi parte dello spazio da essa attraversato così intensamente da non accorgersi di attraversarlo.
Così è possibile che lo spettatore non si accorga nemmeno di imboccare una strada che definisce uno scatto di ingegneria ben riuscito. Oppure che se ne accorga molto più avanti, voltandosi e vedendo da lontano l’armonia e la bellezza del tratto appena coperto. D’altronde è il fotografo/ingegnere ad avere la visione: cogliere urgenza, necessità e potenzialità di un soggetto, che gli altri nemmeno noterebbero.
Se ci si dovesse trovare a raggiungere la regione di Okunikko dalla sottostante Nikko, in Giappone, allora si verrebbe coinvolti sulla Irohazaka road. Coinvolti, non indirizzati, perché ognuno dei quarantotto scenografici tornanti prende il nome di una sillaba dell’alfabeto giapponese precedentemente utilizzato (ora noto come aiueo) e perché percorrerne il tracciato equivale ad addentrarsi inconsapevolmente nello spirito di cascate, laghi, paludi, ruscelli e sorgenti termali, dei quali si avverte la vicinanza.
Progettazione infrastrutturale e fotografia. Una congiunzione forse non ordinaria, bizzarra. Il fotografo che ricerca l’istante per conservarlo, il progettista che ricerca l’idea per renderla materia.
Per entrare nella visione dell’uno e dell’altro serve conoscerne i paradigmi. Per esprimere un giudizio sulle loro opere serve interrogarsi sul contesto in cui sono nate: il processo di presa di coscienza, di ascolto, di immaginazione, di conoscenza del “genius loci” e, infine, di produzione. Ecco che lo spettatore svilupperebbe una consapevolezza diversa dell’oggetto dello scatto e diventerebbe più capace di distinguerne lucidamente il vero contenuto.
