Illustration by Lorylè @2020
Progettare una infrastruttura e renderla credibile
Strumenti per la comprensione di una proposta di infrastruttura complessaOggi non basta più progettare e realizzare bene un’opera perché questa sia destinata a compiere un percorso netto dalla carta alla piena operatività: bisogna accettare il fatto che essa sarà molto probabilmente oggetto di attacchi mediatici, verrà scandagliata e messa in discussione da chiunque, compresi i classici tuttologi ed esperti della domenica… Meno male che c’è Internet!
Come fare per progettare un’infrastruttura e renderla credibile, almeno per consentirle di superare tutti gli step formali ed arrivare pronta per la costruzione? Quali sono le macroaree da considerare? Per rispondere a questi interrogativi, occorre analizzare come sta cambiando il mondo e come debba essere presentato un progetto perché il messaggio possa diventare trasversale e adatto a tutti.
Infrastrutture: un mondo complesso
Dave Snowden ha sviluppato anni fa un’interessante teoria sui problemi complessi che ha riassunto nel cosiddetto Cynefin framework che individua 4 o meglio 5 aree di gestione delle problematiche progettuali.
Il framework identifica 4 macro domini: semplice, complicato, complesso e caotico. L’obiettivo del framework è di aiutare a capire con quale dei quattro domini si ha a che fare. Perciò c’è un quinto dominio chiamato ‘disordine’ che rappresenta semplicemente lo stato in cui non si sa quale degli altri quattro domini si applichi alla propria situazione.
I vari quadranti sinteticamente mostrano 4 situazioni possibili:
- Semplice/Ovvio: copre quei casi in cui tutto è conosciuto e dove non c’è incertezza. Qui causa ed effetto sono la stessa cosa e la risposta è praticamente automatica. Di solito si applicano le Best Practices.
- Complicato: in questo dominio troviamo ciò che non è direttamente conosciuto. La relazione causa/effetto esiste ma non è palese. È necessaria una fase di analisi per raggiungere la risposta. Qui si applicano le Good Practices.
- Complesso: qui ricadono i casi in cui la relazione causa/effetto può essere accertata solo a posteriori. Siamo nel campo della sperimentazione dove l’incertezza è alta ma ancora gestibile. La risposta si trova tramite l’adozione di una nuova pratica emergente a posteriori.
- Caotico in quest’area abbiamo quelle situazioni in cui non è possibile identificare la relazione tra causa ed effetto. Qui l’incertezza è massima. La risposta può arrivare solo tramite percezione di una nuova pratica.
L’esperienza mi ha insegnato che, per oltre l’80% dei casi, progettare infrastrutture ricade nel campo del Complesso più che nel Complicato.
Lavorare in questo dominio ha cause ed effetti che sono imprevedibili e che appaiono ovvi solo a posteriori. Ciò è dovuto in gran parte al fatto che esistono molteplici relazioni tra gli oggetti che si stranno trattando e, in parallelo, con gli stakeholders, con opinioni e requisiti che emergono poco a poco nel tempo. Spesso si è costretti a sperimentare soluzioni nuove o innovative perchè quelle precedenti non sono scalabili al contesto ed il risultato delle scelte non è verificabile se non a posteriori, anni dopo l’implementazione: si pensi alla scelta tra realizzare una tranvia o una linea di BRT.
L’approccio qui è quello di sondare-percepire-rispondere, cioè si dovrà sperimentare e testare per capire lo scopo dettagliato del lavoro. Per queste ragioni ogni progetto è di fatto un prototipo che difficilmente potrà essere replicato in un altro luogo ed in un altro contesto.
La non replicabilità dell’opera ha vantaggi e svantaggi che di fatto sono la doppia faccia della stessa medaglia: se l’opera X ha funzionato nel contesto Y non è detto che la stessa opera X funzioni anche nel contesto Z. Ma fortunatamente funziona anche il viceversa.
Come faccio a comunicare questo concetto semplice ma che al tempo stesso risiede nel dominio del complesso? E come faccio a raggiungere tutti gli stakeholders, soprattutto la popolazione meno preparata e maggiormente pronta ad attaccare qualsiasi progetto nella migliore tradizione del NIMBY (Not In My BackYard)?
La risposta a questa domanda passa attraverso un’attenta pianificazione, lo studio del contesto, la pazienza nel dialogo, la scelta di strumenti comunicativi adeguati, la cura e l’attenzione alla vera sostenibilità, la capacità di spendere i soldi a disposizione (quando ce ne sono).
Pianificazione o visione
Pianificare significa farsi delle domande e darsi delle risposte senza minimamente sapere se saranno risposte corrette. Nel mondo delle infrastrutture questo assioma è ancora più vero in quanto stiamo pensando oggi un oggetto che entrerà in servizio tra 5-10 anni e che dovrà durare per 50-100 anni o forse più.
Costruire un’infrastruttura significa segnare un territorio e dargli un indirizzo di sviluppo chiaro per il futuro (o, all’opposto, decretarne l’inesorabile degrado): tu passerai da lì, ci passerai in auto e lo farai per i prossimi 50 anni! Insomma progettiamo per un futuro che non conosciamo e lo segniamo per due o tre generazioni almeno.
Si pensi ad esempio al tema dello scartamento ferroviario standard, che trae origine dalla distanza tra le ruote nelle carrozze di inizio ottocento, da cui George Stephenson trasse ispirazione per la linea Stockton – Darlington. Di fatto esistevano già “rotaie” nelle normali strade lastricate, dove i profondi solchi prodotti nella pietra o anche nello sterrato, per decenni (o secoli) di uso, imponevano l’uso di scartamenti delle carrozze e quindi di assali strettamente unificati. La circolazione di carrozze con scartamenti diversi dallo standard era infatti molto pericolosa, dato che la vettura poteva facilmente rovesciarsi per il passaggio delle ruote sprofondate in un solco da un lato, quando le altre ruote erano sollevate e fuori dall’altro.
Di fatto una scelta del 1825 ha segnato in modo indelebile la storia della ferrovia dai treni a vapore all’alta velocità.

La ferrovia Stockton – Darlington dove nacque lo scartamento standard (immagine da Wikipedia)
In molti casi sarebbe meglio parlare di visione o pianificazione di scenario soprattutto quando è necessario immaginare molti scenari alternativi, anche fortemente differenti. Devi considerare cosa fare se il futuro non va nella direzione che desideri. Cosa puoi influenzare. Come puoi rimanere flessibile ed agile per rispondere a ciò che la realtà ti dice.
Spesso ci si chiede: ma come si può pianificare se non si conosce cosa accadrà? Si potrebbe rispondere dicendo che è proprio questo il caso in cui è più importante pianificare. Il punto se mai è dare ampio spazio alla flessibilità ed accettare il rischio di scoprire che alcune pianificazioni portano in territori poco conosciuti se non addirittura inesplorati: il cosiddetto Estremistan, in cui esistono i Cigni Neri (secondo la definizione di Nassim Taleb).
Insieme alla pianificazione degli scenari, abbiamo anche bisogno delle competenze per andare oltre l’immediato e chiederci quale possa essere la catena di impatti che si determina facendo una scelta. Se costruirò questa linea ferroviaria, quali saranno i costi di gestione nei prossimi trent’anni? Cosa non posso fare, perché ho dedicato risorse a questa linea ferroviaria anziché a quel museo? Quali sono gli impatti globali, incluso l’ambiente? (C’è sempre piano B, ma non un pianeta B …).
Ci vuole calma e sangue freddo

Debat Public in Francia per un progetto in Normandia: si noti la planimetria di progetto usata come tappeto!
Da alcuni anni anche in Italia si sente parlare di partecipazione pubblica secondo il modello del Debat Public francese soprattutto dopo la pubblicazione del DCPM 76/2018 che per altro ha suscitato molte polemiche sulla sua reale applicabilità nel contesto nazionale. Tuttavia ancora pochi sono i casi in cui si è riusciti realmente a coinvolgere la popolazione in modo attivo senza che l’approccio debba essere necessariamente quello distruttivo.
In realtà si è tentato spesso di coinvolgere gli stakeholders nei progetti di infrastrutture ma non sempre in modo virtuoso o efficace. Ho partecipato personalmente a diverse occasioni di discussione pubblica di grandi progetti infrastrutturali in Italia ed all’estero e quello che ho notato, particolarmente in Italia, è una morbosa attenzione a cercare il difetto, l’errore, l’incompetenza. Sarebbe anche giusto, se come controparte ci fosse un gruppo di tecnici che hanno studiato il problema in modo complementare ed esaustivo, ma spesso ci si scontra con stuoli di tuttologi formati sull’Università dell’Internet. E sono i più pericolosi. È impossibile (e direi anche inutile) contro-argomentare e discutere con chi si mostra già convinto della propria verità; chi sa già che il progetto è completamente sbagliato perché lo ha scoperto sul web.
Ho capito però negli anni che la meraviglia del web è la sua democrazia: le informazioni che sfruttano i detrattori sono le stesse a disposizione dei promotori. Questo significa che è necessario abbeverarsi alla stessa fonte, occorre studiare nel dettaglio le informazioni che il tuo interlocutore potrebbe usare contro di te per essere pronto a confutarle nel dettaglio. Solo ribattendo con cognizione e con dati precisi punto su punto (anche quelli più stupidi) si mantiene una credibilità come progettista o come promotore.
Ci vuole grande calma, attenzione e preparazione. Non si possono fare errori in questa fase: una crepa lasciata in mano ad un pubblico agguerrito e a giornalisti con un minimo di competenza può creare disastri difficilmente recuperabili nel seguito.
Strumenti comunicativi: l’oppio dei popoli?
Siamo nel 2020 e abbiamo a disposizione una vasta gamma di strumenti comunicativi come non è mai esistita. Dai render sempre più realistici, ai video in 8K fino ad arrivare alla realtà virtuale e alla realtà aumentata. Tutti strumenti straordinari e potenti che permettono di rappresentare un’infrastruttura virtuale perfettamente integrata nel contesto esistente, nella quale ci si può immergere, “navigandola” e magari anche toccandola. Ma ancora non basta.
Esistono infiniti casi in cui il progetto realizzato è risultato molto, troppo lontano dal render e da come era stato presentato, per cause senza dubbio validissime: dalle mutate condizioni dei luoghi, alla mancanza di fondi o al fallimento dell’impresa appaltatrice… ma queste non vengono percepite perchè agli abitanti del luogo rimane solo una grande aspettativa delusa: “ecco avevate previsto un parco verde a fianco della strada ed invece ci sono tre misere piante!”
Negli ultimi tempi si parla molto di BIM ed è giusto che sia così, perché il BIM ha creato una reale rivoluzione nel nostro settore. Tuttavia, o il BIM diventa mentalità o non serve. Ho visto ancora troppi progetti nascere in tradizionale ed essere “bimmizzati” in seguito, oppure essere fatti solo al 20% in BIM perché “altrimenti è troppo difficile”: così non si va da nessuna parte e soprattutto non si aiuta il progetto e la sua comunicazione.
La comunicazione diventa credibile solo se si è capaci di raccontare usando gli stessi strumenti di progetto e in questo il BIM è straordinario. Ormai nel BIM non è più un problema di software perché esistono strumenti per tutti i gusti e per tutte le tasche, oggi essere BIM è una mentalità.
Se la comunicazione è diretta diramazione di questa mentalità diventa tutto più facile e spontaneo, se ho fatto il progetto davvero in BIM significa che ho studiato tutti gli elementi critici e quindi non ho paura di mostrare i punti più delicati perché sono già stati analizzati ed è stata trovata la soluzione adatta: quando dai risposte soddisfacenti hai risolto il 90% dei problemi di comunicazione.
La sostenibilità: ovvero quando l’abito non fa il monaco
Un progetto ad alta sostenibilità costa di più: inutile che ci nascondiamo dietro questioni ideologiche. Costa di più, punto. Almeno per la sua costruzione. Poi però c’è la gestione e qui potrebbe essere tutto un altro film. Ma i numeri che colpiscono e che muovono la politica sono solo quelli della costruzione e pochi si interessano – o peggio riescono realmente a comprendere – il significato di costo a vita utile dell’opera.
Insomma, siamo tutti consapevoli che la sostenibilità è importante, abbiamo scritto i CAM (Criteri Ambientali Minimi), ci riempiamo la bocca di protocolli LEED ed Envision ma poi quando si tratta di applicarli fino alla costruzione la cosa cambia. Progettare per raggiungere un livello medio Envision (ad esempio Silver) costa in termini di opere addizionali ma anche in termini di energie in più per modificare il progetto e renderlo conforme a quello che richiede il protocollo; poi costa la sua certificazione; poi costa scegliere l’impresa con l’adeguata sensibilità ambientale richiesta dal progetto; poi costa trovare una Direzione Lavori che sia in grado di verificare che le scelte di sostenibilità vengano applicate con qualità. Tutti costi che non sempre le amministrazioni sono in grado di sostenere non solo in termini economici.
Questo significa che per rendere credibile l’extra-costo per le prestazioni ambientali, bisogna essere in grado ancora una volta di spiegare le scelte e fare in modo che tutti quelli coinvolti nella realizzazione dell’opera abbiamo nel DNA la cultura della sostenibilità, dall’impresa realizzatrice, fino all’ultimo subappaltatore.
Un grande lavoro per i progettisti ma soprattutto per l’amministrazione che si deve dotare di figure in grado di maneggiare queste tematiche complesse avendo la possibilità di operare con mandati ampi e ben definiti.
Spendere bene o spendere in fretta?
Vorrei chiudere con una provocazione: è meglio ponderare bene, valutare ogni cosa e poi eventualmente spendere dopo aver sentito tutto e tutti o è meglio spendere in fretta, quando i soldi ci sono?
Non ho una risposta univoca a questa domanda perché non credo che ci sia, tuttavia mi limito a osservare che questa decisione spetta alla politica ed è come trovarsi in un’aula di tribunale: la politica è la giuria e noi tecnici siamo gli avvocati. Dobbiamo essere capaci di proporre e difendere il nostro progetto in modo convincente per arrivare ad una assoluzione piena. Dobbiamo fare il nostro lavoro nel migliore dei modi fornendo tutti gli elementi perché la Corte si possa esprimere.
La storia però ci insegna che, quando non si è capaci di prendere delle decisioni anche un po’ impopolari, i soldi, che sono sempre meno, hanno la brutta tendenza a scappare da un’altra parte.
