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Arte Scienza ed Esperienza
L’ingegnere nell’era della Rivoluzione DigitaleIl mondo dell’ingegneria è alle prese con una sfida epocale: la rivoluzione digitale in atto sta amplificando sempre più l’importanza delle nuove tecnologie e sta portando alla ribalta nuove competenze anche in questo settore.
Per secoli gli ingegneri hanno avuto familiarità con la risoluzione di problemi complessi per i quali hanno ricercato ed adottato le migliori soluzioni attraverso il pensiero critico e un atteggiamento creativo. Al giorno d’oggi, il progresso tecnico offre una grande varietà di strumenti e soluzioni digitali personalizzate che ci consentono di svolgere il nostro lavoro in un modo che va ben oltre le nostre aspettative. Uno scenario che avrà un profondo impatto sul nostro futuro e questo impatto non è scontato che sia così positivo. Ma potremmo ritrovare un aiuto decisivo rivolgendo lo sguardo al passato…
Leonardo Da Vinci: il primo ingegnere “umanista”
Quest’anno ricorre il cinquecentenario della scomparsa di Leonardo Da Vinci. Tutti conoscono il suo genio poliedrico che si è manifestato in tutti i campi dello scibile umano (dalla pittura alla scultura, medicina, anatomia, astronomia, geometria, botanica… ).
Probabilmente, il Leonardo “Ingeniere” è meno noto: pertanto voglio soffermarmi specificatamente su questo aspetto, concentrandomi soprattutto sulle sue abilità nel settore dell’ingegneria militare.
All’età di trent’anni Leonardo illustrò le sue conoscenze in questo campo proponendo in una lettera i propri “servizi di progettazione” a Ludovico il Moro, duca di Milano, la città in cui prese dimora dal 1482 al 1499.
Le abilità di Leonardo da Vinci (Lettera a Ludovico Sforza “il Moro”)
(Testo originale ed integrale disponibile al seguente link https://www.leonardodavinci-italy.it/documenti1/lettera-a-ludovico-il-moro)
Avendo, signor mio Illustrissimo, visto et considerato ormai ad sufficienzia le prove di tutti quelli che si reputano maestri et compositori de instrumenti bellici, […] mi exforzerò, […] farmi intender da V. Excellentia, aprendo a quella li secreti miei, […]
Ho modi de ponti leggerissimi et forti, et atti a portare facilissimamente, et cum quelli seguire, & alcuna volta fuggire li inimici, […]
So in la obsidione de una terra toglier via l’acqua de’ fossi, et fare infiniti ponti, ghatti et scale et altri instrumenti pertinenti ad dicta expedizione.
[…]
Ho anchora modi de bombarde commodissime et facili da portare, et cum quelle buttare minuti (saxi a similitudine) di tempesta; […]
Item, ho modi, per cave et vie secrete et distorte, facte senza alcuno strepito, per venire ad uno certo et disegnato lo[co], ancora che bisogniasse passare sotto fossi o alcuno fiume.
Item, farò carri coperti, securi et inoffensibili, i quali entrando intra li inimica cum sue artiglierie, […]
Dove mancassi le operazione de le bombarde, componerò briccole, manghani, trabuchi et altri instrumenti di mirabile efficacia, et fora del usato; […]
Et quando accadesse essere in mare, ho modi de molti instrumenti actissimi da offender et defender, et navili che faranno resistenzia al trarre de omni grossissima bombarda et polver et fumi.
In tempo di pace credo satisfare benissimo a paragone de omni altro in architectura, in composizione di edificii publici et privati, et in conducer acqua da uno loco ad uno altro […]
Et se alchuna de le sopra dicte cose a alchuno paressino impossibile et infactibile, me offero paratissimo ad farne experimento in el parco vostro, o in quel loco piacerà a VostrA Excellentia, ad la quale humilmente quanto più posso me recomando.
È piuttosto interessante sottolineare la disponibilità di Leonardo a mettersi in gioco, dando prova concreta delle sue capacità: il suo atteggiamento è una spavalda dimostrazione di coraggio e fiducia in se stesso! Infatti, a quei tempi, i progettisti che commettevano errori rischiavano ben più di una semplice penale…
Se a questo curriculum “ante-litteram” aggiungiamo poche altre informazioni, come ad esempio il progetto per il Ponte sul Bosforo con 300 m di luce, possiamo constatare che praticamente in Leonardo c’è già tutto! Non è davvero rimasto nulla da inventare nel campo dell’ingegneria, tanto che se fossimo in grado di trasportare idealmente Leonardo nella nostra epoca, risolverebbe certamente tutti i nostri problemi.
Naturalmente, nella sua formazione, hanno avuto uno speciale ruolo anche le teorie di Vitruvio (80 a.C. – 15 a.C.) e la sua famosa triade, utilitas, firmitas, venustas, che riassume gli elementi costitutivi di ogni opera di valore (di Leonardo è infatti la celebre raffigurazione rinascimentale dell’ “homo vitruvianus“).

il Leonardesco “Uomo Vitruviano” nell’era digitale (rielaborazione grafica a cura di NET Engineering)
A che punto siamo oggi rispetto a Leonardo?
Tuttavia, il mondo contemporaneo è profondamente diverso da quello di Leonardo. Infatti, oggi, in aggiunta ad un articolato complesso di teorie scientifiche, disponiamo di una lunga serie di innovazioni tecnologiche: materiali speciali, software sofisticati e potenti applicazioni, ecc …
Come già anticipato, al giorno d’oggi una straordinaria rivoluzione digitale sta cambiando tutto il mondo ed il nostro mondo dell’ingegneria in particolare, spingendoci a misurarci con sfide sempre più ambiziose. Questo poderoso apparato scientifico-tecnologico può davvero fare molto per agevolare il nostro lavoro di ingegneri, ma allo stesso tempo ciò potrebbe indurre un pericoloso senso di onnipotenza.
I rischi della Rivoluzione Digitale
Ma quali sono i rischi connessi a questo scenario in rapida evoluzione? A parte i problemi di sicurezza e privacy, le difficoltà dovute all’implementazione e all’integrazione di nuove tecnologie, la questione dei costi, ecc… vorrei riflettere sugli aspetti strettamente culturali e intellettuali.
Dobbiamo stare attenti: ci sono cose che le tecnologie, anche le più sofisticate, non possono fare e coloro che credono nella loro onnipotenza potrebbero andare incontro ad una tragica illusione! Stiamo infatti sottovalutando il rischio che, anziché dominarli, possiamo diventare schiavi degli strumenti che noi stessi abbiamo creato, dimenticando che al centro deve esserci sempre l’uomo.
Al centro, l’Uomo
È un pensiero, questo, che risale a molto tempo fa: è dunque il momento di rivolgere nuovamente lo sguardo al passato, volando indietro di 2500 anni per raggiungere la Grecia di Socrate e Platone. Grazie ad una prodigiosa e profetica intuizione, già a quell’epoca questi filosofi sembrano aver immaginato e compreso appieno i rischi di un’eccessiva fiducia nella tecnologia.
A questo proposito, vorrei fare riferimento a un brano tratto dal “Fedro” di Platone, in particolare al passaggio in cui Socrate racconta una breve leggenda sull’invenzione dell’alfabeto, che a tutt’oggi è universalmente riconosciuta come la più grande invenzione dell’umanità.
In breve, la storia ricorda una “mitica” conversazione tra il dio egizio Theuth, inventore dell’alfabeto e il faraone Thamus su ciò che è buono o cattivo nello scrivere. Theuth enfatizza la sua scoperta dell’alfabeto come rimedio per la memoria, mentre Thamus risponde che il suo vero effetto sarà verosimilmente l’opposto, poiché, senza la dialettica “vivente” fra coloro che posseggono la vera conoscenza, le generazioni future leggeranno molto senza essere adeguatamente istruite e appariranno “sapienti” essendo solo “saccenti”.
Estratto da “Il Fedro” di Platone
(Testo integrale disponibile al seguente link http://www.intratext.com/IXT/ITA2705/_P1.HTM )
Socrate: Ho udito, dunque, che nei pressi di Naucrati d’ Egitto c’era uno degli antichi dèi locali, di nome Theuth , al quale apparteneva anche l’ uccello sacro chiamato Ibis. Fu appunto questo dio a inventare il numero e il calcolo, la geometria e l’ astronomia e, ancora, il gioco del tavoliere e quello dei dadi, e soprattutto la scrittura. Regnava a quel tempo su tutto l’ Egitto Thamus, che risiedeva nella grande città dell’ Alto Egitto che i Greci chiamano Tebe e il cui dio chiamano Ammone. Recatosi al cospetto del faraone, Theuth gli mostrò le sue arti e disse che occorreva diffonderle tra gli altri Egizi. Quello allora lo interrogò su quali fossero le utilità di ciascun’ arte, e mentre Theuth gliela spiegava, il faraone criticava una cosa ne lodava un’ altra, a seconda che gli paresse detta bene o male. Si dice che Thamus abbia espresso a Theuth molte osservazioni sia pro sia contro ciascuna arte, ma riferirle sarebbe troppo lungo.
Quando Theuth venne alla scrittura disse: “Questa conoscenza, o faraone, renderà gli Egizi più sapienti e più capaci di ricordare: é stata infatti inventata come medicina per la memoria e per la sapienza”.
Ma quello rispose: “Ingegnosissimo Theuth, c’é chi é capace di dar vita alle arti, e chi invece di giudicare quale danno e quale vantaggio comportano per chi se ne avvarrà. E ora tu, padre della scrittura, per benevolenza hai detto il contrario di ciò che essa é in grado di fare. Questa infatti produrrà dimenticanza nelle anime di chi l’avrà appresa, perchè non fa esercitare la memoria. Infatti, facendo affidamento sulla scrittura, essi trarranno i ricordi dall’esterno, da segni estranei, e non dall’interno, da se stessi. Dunque non hai inventato una medicina per la memoria, ma per richiamare alla memoria. Ai discepoli tu procuri una parvenza di sapienza, non la vera sapienza: divenuti, infatti, grazie a te, ascoltatori di molte cose senza bisogno di insegnamento, crederanno di essere molto dotti, mentre saranno per lo più ignoranti e difficili da trattare, in quanto divenuti saccenti invece che sapienti”.
Il parallelismo con l’attuale mondo dell’informatica, con il “nuovo alfabeto” di Internet e con il “Grande Fratello” di orwelliana memoria è così calzante da essere quasi inquietante. L’ammonizione di Thamus (Socrate) deve restare ben presente anche e soprattutto nel mondo contemporaneo e nel prossimo futuro.
Dobbiamo imparare a distinguere tra “caos informativo” e vera “conoscenza”, bisogna passare dalla superficie alla profondità del nostro io, affrontando la fatica dello studio e dell’approfondimento. Solo così si potrà evitare lo stordimento causato dalla caotica valanga di informazioni a cui siamo costantemente sottoposti alla sola pressione di un tasto sui nostri dispositivi informatici.
Tutti gli uomini, ma in particolare gli ingegneri di oggi e quelli del futuro, non possono prescindere da questa interiore ricchezza culturale: per riuscire a dominare i potenti mezzi che ha a disposizione, l’ingegnere del XXI secolo deve diventare un “magico mix” di arte, scienza ed esperienza.
Il nuovo “Ingeniere” dovrà quindi essere un “umanista dell’era digitale”, per essere in grado di progettare opere che diventino un retaggio di valore per le generazioni future.
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