Nel dibattito istituzionale italiano ed europeo degli ultimi anni il concetto di corridoio è stato prevalentemente inteso alla scala macro, come asse trans-nazionale e trans-continentale, funzionale alla circolazione dei grandi flussi di persone e merci nel mercato europeo e all’integrazione delle economie locali e nazionali in catene del valore allungate. Questa prospettiva si è tradotta in politiche di intervento concentrate su interventi infrastrutturali per la connessione rapida dei grandi centri metropolitani, senza particolare attenzione per i territori attraversati, che spesso, come è accaduto in Val di Susa, si sono sentiti “scavalcati” da grandi opere delle quali non percepivano ricadute benefiche locali.
È però possibile rintracciare nella letteratura sugli urban studies una definizione di corridoio intesa a una scala territoriale più limitata, metropolitana o regionale, che non si concentra solo sugli aspetti infrastrutturali e trasportistici ma guarda al corridoio come a un importante dispositivo di crescita urbana e di sviluppo locale, intendendolo come un asse in cui la facile accessibilità stimola la dinamicità della società e dell’economia.
Partendo da questa prospettiva, il progetto di ricerca PRIN “Territori post-metropolitani”, realizzato da un network di nove università italiane, ha affrontato uno studio dei corridoi come sistemi urbani, mettendo in luce dinamiche che contribuiscono a spiegare le logiche di crescita e di saldatura delle città grandi e di quelle minori in atto in alcune tra le più vitali regioni del Paese.
L’analisi ha evidenziato in alcune aree del Nord e del Centro la presenza di aree di corridoio in cui il forte interscambio di differenti tipologie di flussi, organizzati sia nel breve periodo (flussi di pendolari, di city users, di merci, di conoscenze) che nel medio-lungo periodo (tendenze demografiche, reti di filiera e dei business services), genera effetti sistemici, permettendo anche alle città medie e piccole di partecipare in maniera attiva ai processi di urbanizzazione e di sviluppo economico, in cooperazione piuttosto che in concorrenza con i grandi poli metropolitani come Milano e Bologna.
Un buon esempio di corridoio si ha osservando le città allineate dalla via Emilia, da Piacenza fino alla costa adriatica: in tale regione la crescita urbana, intesa sia come aumento dei residenti che come maggiore consumo di suolo, non si è concentrata nella città maggiore, Bologna, ma si è realizzata soprattutto (e crescentemente negli ultimi decenni) nei centri medi e medio-piccoli, purché ben serviti dalle linee autostradali e ferroviarie.
Nei medesimi territori le città medie e i centri minori sono non soltanto generatori di pendolarismo, ma altresì attrattori di una quota rilevante dei flussi pendolari, provenienti anche da distanze medio-lunghe: un fenomeno che è recentemente stato accentuato dalla nuova connessione ferroviaria ad alta velocità.
Le loro economie e i loro sistemi del lavoro non sono limitati al territorio provinciale, come accade per quasi tutti i centri di simili dimensioni che non partecipano a sistemi metropolitani o di corridoio, ma si organizzano su una scala assai più ampia, che comprende Bologna e per molte funzioni anche Milano.
Non è possibile interpretare questo sistema territoriale policentrico secondo la dicotomia centro-periferia, che prevede la concentrazione nelle città maggiori delle attività generatrici di conoscenze e di valore. Il forte interscambio di flussi di persone, informazioni e merci favorisce un processo di specializzazione, spesso spontanea, delle offerte urbane di servizi e di beni collettivi per i cittadini e per le imprese: Piacenza ha una forte concentrazione di attività nell’area della logistica, Reggio Emilia nelle attività di consulenza contabile e gestionale, Modena nel design e nelle attività del leisure, Bologna in tutti i servizi avanzati e in particolare nelle aree connesse alle ICT ed alla creatività (pubblicità, design, media), Parma nelle attività del settore culturale, Rimini in quelle fieristiche.
Ne risulta un mosaico nel quale le offerte locali tendono a integrarsi, con effetti positivi per il sistema nel suo complesso: lungo la via Emilia e gli altri principali corridoi territoriali si concentra non solo la crescita urbana, ma anche quella economica, e al loro interno si definiscono filiere, sistemi delle conoscenze, mercati del lavoro, generando buona parte della capacità innovativa e di export delle imprese italiane.
Ma questi corridoi territoriali non sempre coincidono con i corridoi del sistema TEN-T: in alcuni casi l’asse infrastrutturale TEN-T non è quello su cui si organizzano le principali dinamiche di urbanizzazione (tra Torino e Milano, tra Firenze e Roma), mentre in altri contesti, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno, allo sviluppo delle infrastrutture viarie non corrisponde la crescita di un sistema socio-economico integrato: qui il corridoio costituisce meramente un asse di connessione rapida tra grandi poli urbani, e non genera ricadute evidenti sulle performance economiche e sulle dinamiche sociali dei territori attraversati.
Le differenze nello scenario nazionale non sembrano dipendere solamente dalle dotazioni di infrastrutture per la mobilità, né solo dalla presenza di densi flussi di persone, informazioni e merci (fattori in parte legati alla ricchezza e al benessere). Ad essere rilevante è altresì il ruolo rivestito nel sistema dalle città minori: i corridoi territoriali emergono in particolare lungo il tracciato dell’autostrada A4 tra Milano e Venezia e Trieste, lungo la via Emilia, nell’area centrale della Toscana, regioni in cui fin dal medioevo è presente una fittissima trama urbana e in cui le città sono storicamente importanti attori economici. In tali regioni, i corridoi assumono l’aspetto di “collane di perle”, assemblaggi policentrici e variegati in cui non solo le grandi città ma anche i centri minori contribuiscono a garantire la vivacità del sistema e la sua elasticità rispetto ai cambiamenti indotti dai mutamenti dell’economia.
I corridoi territoriali sono difficili da delimitare secondo criteri amministrativi, in quanto si tratta di sistemi reticolari e mutevoli, le cui forme non dipendono solo dalle innovazioni del sistema infrastrutturale, ma anche dal preesistente tessuto urbano. Per loro natura, i corridoi sono spazi aperti, soggetti a influenze provenienti da contesti differenti che faticano a comporre equilibri stabili. Sono dotati di un’alta accessibilità e ancora almeno in parte al riparo da una parte dei costi e delle esternalità che caratterizzano le aree metropolitane centrali (dalla congestione viaria al prezzo dei terreni e degli affitti), fattori che incoraggiano la localizzazione di nuove attività economiche o di nuovi residenti.
Questi elementi di dinamicità contribuiscono a caratterizzare i corridoi territoriali come zone economicamente vivaci, ma anche come teatro di nuovi conflitti sociali causati dalla rimodulazione dei modelli di insediamento e di uso del suolo. In tali spazi si concentra una parte rilevante dei processi di trasformazione e di innovazione dello scenario postmetropolitano: una più profonda comprensione delle logiche che li reggono sarebbe decisiva per rappresentare le direzioni e le modalità con cui si organizzano i processi di urbanizzazione in Italia, e per una loro migliore regolazione.
È però certo che per accompagnare lo sviluppo di questi sistemi non basta limitarsi alla realizzazione dei pur necessari interventi infrastrutturali sui sistemi di flussi, ma si devono considerare anche questioni finora definite solo a scala di singola città, a partire dalla pianificazione del territorio e delle sue funzioni.