Le nostre teorie si fondano su modelli e metafore che condizionano in modo cruciale l’immagine che abbiamo del mondo, le metafore che scegliamo per rappresentare le organizzazioni non fanno eccezione: anch’esse ci inducono a concezioni parziali, a volte imprecise.
La teoria economica classica e la cultura manageriale moderna raffigurano le organizzazioni come macchine, leve, meccanismi o ingranaggi, che rispondono agli stimoli in modo determinato producendo un risultato prevedibile e misurabile. Quando i padri della scienza economica diedero forma ai primi modelli gestionali l’irresistibile fascino della macchina dominava l’immaginazione occidentale: da allora l’organizzazione è uno strumento meccanico che, se ben progettato, fornisce razionalità e rigore al comportamento dei disordinati esseri umani.
La metafora meccanica non è però l’unica adatta a descrivere il funzionamento delle organizzazioni, in realtà non è neanche la migliore. Frutto dell’ottimismo illuminista questa interpretazione pretende di separare l’organizzazione dalle persone che la compongono, il pensiero dall’azione, il progetto dal processo, attribuendo agli esseri umani comportamenti in ultima analisi prevedibili.
Il modello che ha prodotto la fortuna economica del secolo scorso mal si adatta alla velocità dei cambiamenti e alla complessità delle relazioni delle organizzazioni contemporanee. Per offrire una risposta più adeguata allo scenario turbolento di cui facciamo quotidianamente esperienza e rendere così più chiare le attuali dinamiche di generazione del valore, dovremmo preferire metafore più articolate e avvantaggiarci delle recenti conquiste delle scienze della complessità e del pensiero sistemico.
Abbandonare un modello deterministico per concepire le imprese come organismi, sistemi complessi o flussi è però complicato, perché implica l’abbandono, o almeno il ripensamento, di tre illusioni cui è votata buona parte dell’attività manageriale: il controllo, l’ordine e la previsione.
In un sistema complesso non è possibile infatti rintracciare una relazione lineare e univoca tra una causa e un effetto: uno schema semplice, veloce ed elegante, ma che non ha alcun riscontro nella realtà di cui facciamo esperienza.
Già il filosofo David Hume attorno alla metà del ‘700, suggeriva di andarci cauti con il principio di causalità, che sembra intuitivamente chiaro, ma ci induce spesso a scambiare una semplice successione per una conseguenza. Abbiamo fretta, vogliamo predire, identificare una causa per agire su di essa e, così, controllare il futuro, ma ci dimentichiamo che la realtà è fatta di una rete sottile e infinita di interazioni complesse. Per continuare a generare valore le organizzazioni d’impresa contemporanee non possono più ignorare che le interazioni al loro interno sono molteplici e dinamiche, al contempo causa ed effetto l’una dell’altra, esse generano un futuro imprevedibile che sfugge al controllo. Dobbiamo farci carico del fatto che ogni volta che due esseri umani vengono in contatto, le azioni del primo hanno effetto su quelle del secondo, le quali a loro volta hanno effetto su quelle del primo e così via, in un circolo di adattamento reciproco, il più delle volte virtuoso, ma sempre di difficile interpretazione.
Un’altra condizione con cui fare i conti è l’assenza di un punto di osservazione privilegiato sull’organizzazione e le sue dinamiche. La complessità impone infatti la coappartenenza di progetto ed esecuzione: se ogni azione innesca una molteplicità imprevedibile di conseguenze e retroazioni, è solo nell’esperienza quotidiana che possiamo riconoscere i segnali che ci mostrano l’adeguatezza della rotta da seguire. Di fronte al panorama intricato e mutevole che ci si presenta non possiamo più posizionarci su un’altura protetta per studiare il campo di battaglia e costruire da lì una strategia dettagliata ed efficace, perché le informazioni da elaborare sono troppe e la loro validità troppo breve.
Per concepire le imprese come sistemi complessi e trarre vantaggio dall’articolata rete di relazioni che le costituisce, dobbiamo allora dotarci di nuovi modelli e nuovi strumenti manageriali che ci permettano di configurare un’organizzazione il cui successo non consista nell’equilibrio, ma nell’innovazione; in cui si apprenda per tentativi e non estrapolando dati storici; in cui l’execution sia sempre accompagnata dall’esplorazione e in cui le strategie vengano ideate con il contributo di tutti.
Accettare un sistema complesso che non si può controllare in modo deterministico vuole dire rinunciare a un processo decisionale lineare per dotarsi di una capacità alternativa per orientare le attività verso gli obiettivi che vogliamo perseguire. Per raggiungere la meta in uno scenario in trasformazione, bisogna imparare a rinnovare in continuazione i propri punti di riferimento, interpretando il flusso di informazioni che l’organizzazione scambia internamente e con l’ambiente.
Le dinamiche della complessità rendono in alcuni casi obsoleti gli strumenti di gestione tradizionali e aleatoria la strategia che ne deriva. Strutture gerarchiche e processi decisionali che non tengono conto del complesso di relazioni che animano l’intero sistema risultano oggi inefficaci e rimangono spesso sullo sfondo di attività gestite “a vista”.
Orfani di queste guide si rischia di sentirsi disorientati: servono competenze manageriali nuove e nuovi strumenti organizzativi per ridare fondamento alle decisioni strategiche.
Di fronte a un territorio ignoto, ci vuole uno strumento di orientamento che permetta di riconoscere lo scenario che ci troviamo ad abitare e tracciare una rotta per organizzare il viaggio che ci condurrà ai nostri obiettivi. Una mappa, capace di raffigurare un ambiente complesso fatto di relazioni e interazioni. Non possiamo servirci di una raffigurazione oggettiva e statica, per rappresentare le dinamiche di un’organizzazione complessa dobbiamo dotarci di una mappa metaforica, capace di comunicare un concetto con immediatezza e al contempo tenere aperto uno spazio di interpretazione; uno strumento manageriale che favorisca l’appropriazione dei messaggi organizzativi e la costruzione di un percorso condiviso.
Certo la complessità rende più difficile il compito del cartografo, ma non disporre di un punto di osservazione privilegiato non vuol dire non disporre di strumenti di esplorazione. Al contrario. Riconoscere la complessità della propria organizzazione vuole dire comprendere anche il potenziale contributo che ogni persona può offrire alla strategia fornendo indicazioni utili alla sua definizione. Il fatto che ogni snodo della rete abbia il potere di agire sull’intero sistema apre infatti uno spettro di inedite opportunità di sviluppo, sconosciute alle organizzazioni tradizionali. Avvantaggiandosi dell’intelligenza delle proprie persone, l’organizzazione può trasformare ognuna di esse in un rilevatore di indicazioni utili per correggere la rotta. Questa visione più articolata dell’organizzazione delinea così la possibilità di un continuo apprendimento.
Per abilitare questo processo di sviluppo e adattamento servono maturità manageriale e responsabilità diffusa, e serve uno strumento organizzativo capace di fare due cose contemporaneamente: offrire alle persone gli elementi per interpretare e dare senso al proprio lavoro e, allo stesso tempo, raccogliere le indicazioni che ogni persona può fornire rispetto alle relazioni che presidia. Una bussola organizzativa che traduca le strategie comunemente contenute in un elenco puntato in una roadmap che mostri il percorso e che offra uno spazio di confronto per condividere modifiche repentine e correzioni di rotta.
Per orientarsi nella complessità le organizzazioni non possono affidarsi a un sistema di punti cardinali standard, teorie organizzative o benchmark, devono costruirsi da sole la propria mappa chiarendo gli obiettivi, condividendo le informazioni e valorizzando l’ingegnosità collettiva delle proprie persone. Trasformare la strategia in una mappa significa farsi carico della complessità delle relazioni per riconoscere i flussi che generano valore e offrire alle persone un’opportunità di esplorazione e sperimentazione. Se da un lato la complessità rende difficili le previsioni, dall’altro ci offre nuove e preziose possibilità di sviluppo, a patto di saper valorizzare il dialogo e lo scambio tra i colleghi.